Convegno De.Co a Molinella

Stimolato dai recentissimi esiti dell’operazione “Prosecco sicuro”, di cui potete leggere un dettagliato rapporto su Vino Pigro di Elisabetta Tosi, e ulteriori riflessioni su Aristide di Giampiero Nadali, ho voluto portare a termine un post riguardante un recente convegno al quale ho partecipato a Molinella, in provincia di Bologna.

Questo Comune ha riconosciuto a partire dal 2006 tre Denominazioni Comunali, le cosiddette De.Co, una delle ultime battaglie di Luigi Veronelli.

Senza entrare nel dettaglio legislativo, vorrei soltanto ricordarvi che per De.Co si intende una produzione artigianale locale (non soltanto quindi produzioni agroalimentari), il cui riconoscimento viene “approvato” mediante una delibera del Consiglio Comunale, in seguito alla quale la Giunta Comunale istituisce all’interno dell’Amministrazione appositi “strumenti” per monitorare la produzione soggetta a De.Co, insomma un bell’esempio di democrazia diretta!

Non si parla quindi di veri e propri disciplinari, legati esclusivamente ai prodotti che si fregiano di marchi Comunitari (IGP e DOP per intenderci), ma di regole di massima che i produttori debbono rispettare.

Di questo e dei risvolti pratici che scaturiscono dalle produzioni De.Co si è parlato presso l’Auditorim di Molinella sabato 30 giugno: a moderare l’incontro Riccardo Lagorio, autore del libro “Viaggio nell’Italia a denominazione comunale (De.co.)” (Forterrea editore, € 18), e stretto collaboratore di Luigi Veronelli nella realizzazione del progetto De.Co, che ha visto in questi anni diversi momenti di difficoltà, soprattutto di natura politica.

Oggi in Italia esistono oltre 400 De.Co, alcune delle quali sono state descritte dai diretti interessati nel corso del convegno; insieme a me erano presenti Mirka Frigo e Giorgio Luppi, che saluto, del Movimento Turismo del Vino della Regione Lombardia.

Devo dire che ho sempre seguito con interesse il progetto De.Co, nonostante molti operatori abbiano in passato snobbato questo strumento, ritenendolo in fondo ridondante e privo alla fin fine di mezzi finanziari adeguati per promuovere produzioni comunque di iper nicchia.

Be’, io non sono mai stato d’accordo con queste affermazioni, e per un motivo molto semplice: a mio avviso le De.Co non servono a promuovere (la promozione è legata al mercato), ma a valorizzare (cioè, come dice la parola, cioè salvaguardare e migliorare una produzione).

Ed è questo uno dei punti chiave, ben sottolineati dal Sindaco Bruno Selva e dall’Assessore all’Agricoltura e Ambiente Luca Mazzanti, il quale è andato oltre, sottolineando che la preservazione del sapere, opportunamente messo in rete, diventa pure uno strumento di promozione turistica integrata.

Quali i limiti? Molto semplici, e questo il convegno secondo me l’ha fatto emergere bene.

Vi faccio un ipotetico esempio che a mio avviso può riassumere tutti gli interventi ascoltati (mi perdoni Aristide che credo non converrà, ma provo lo stesso a convincerlo… eh eh): se esistono 100 maiali della razza ABC salvati da estinzione certa, e con i quali si producono i particolari prosciutti di DEF, è chiaro che più di X prosciutti l’anno non si possono produrre. L’artigiano che fino allora ha ben lavorato e che è stato giustamente premiato con il riconoscimento della De.Co, si vede balzare agli onori delle cronaca e prima o poi capiterà a casa sua un grande distributore di salumi che lusingandolo con la promessa di farlo entrare nel mercato nazionale, gli chiederà di garantirgli però una produzione minima di 1.000 pezzi l’anno: e chissenefrega se lui di maiali ne ha solo 100, tanto quello che conta è il suo marchio…

Se il prosciutto di DEF fosse IGP, niente stonerebbe, per la regola del 1 su 2, si premia la lavorazione a scapito della provenienza delle cosce. A questo punto entra in gioco il veterinario di DEF, delegato dal Sindaco a “sorvegliare” la De.Co: lui conosce di persona l’artigiano e sa bene quanti maiali ha, e li può andare a vedere anche tutti i giorni, a differenza di un ispettore dell’Assessorato Regionale che può fare solo controlli periodici; e poi si sa, in paese le voci circolano, e camion sospetti con nuovi animali sopra non passerebbero insospettati.

È chiaro che nessuno toglierà la De.Co all’artigiano, ma a quattr’occhi, davanti a un buon bicchier di vino, il veterinario farà presente all’artigiano che è un suo sacrosanto diritto di imprenditore fare business, però che abbia l’accortezza di destinare alla De.Co solo la produzione dei 100 maiali ABC, e che si inventi un altro marchio per il distributore, perché alla fine la De.Co gli è stata riconosciuta dalla sua stessa Comunità.

È utopia tutto questo? Può il senso di appartenenza ad una Comunità essere una discriminante per fare un “business etico”?

Non ho di certo la competenza e l’esperienza per rispondere, ma concludo tramutando in reale il sopra citato esempio ipotetico, tornando nel mio territorio: a Madonna Boschi, vicino a Ferrara, si tiene ogni anno la “Sagra della della Salamina da Sugo al cucchiaio”. Durante questa manifestazione viene consumata praticamente tutta la Salamina prodotta dai giovani e meno giovani del paese, con il metodo super tradizionale, e così ogni anno in settembre, per qualche giorno la sperduta borgata di Madonna Boschi diventa la capitale della gastronoma ferrarese.

Non è questo un bel modo di restituire dignità ad una Comunità in epoche di “invasioni barbariche”?

A voi ogni commento e grazie per avermi sopportato se siete giunti a leggere fino a qui… ;-)


Nella foto: il simpatico monumento alla “Salamina da Sugo” di Madonna Boschi.

Commenti

Anonimo ha detto…
Bravo!
Hai colto nel segno il significato della Denominazione Comunale. Ancora grazie per la tura presenza. E spero che presto si possa parlare della salama da sugo di Madonna Boschi.
Riccardo Lagorio