Convegno a Sant’Antioco sul carignano a piede franco


Come promesso vi riporto il resoconto del convegno del quale avevamo parlato qui.
Non avendo avuto la possibilità di partecipare direttamente, allego l'articolo apparso sul blog de L'Acquabuona; ringrazio
Luca Bonci per la concessione.


Convegno a Sant’Antioco sul carignano a piede franco

Di L'AcquaBuona • 2 Ago 2008 • Rubrica: Prima pagina

di Adele Illotto

Il 5 luglio 2008 si è tenuto a Sant’Antioco un importante convegno dedicato alla particolare viticoltura di quest’isola del sud-ovest della Sardegna. Sono intervenuti i relatori Piero Bartoloni, Giovanni Nieddu, Andrea Lentini e Giovanni Antonio Farris dell’Università di Sassari, Mario Fregoni dell’Università Cattolica di Piacenza, Mario Massa dell’Archivio storico di Sant’Antioco, Daniele Marchi e Dino Dini enologi delle Cantine Sociali di Calasetta e Sant’Antioco.

Durante i lavori del convegno è emersa la proposta per il riconoscimento Unesco ai vigneti del vitigno carignano a piede franco dell’isola di Sant’Antioco. Molti dei vigneti a carignano situati nell’isola di Sant’Antioco, in particolare quelli della zona di Calasetta, a livello del mare, sono stati impiantati prima dell’invasione fillosserica (alcuni oltre trecento anni fa). La fillossera (Philoxera vastatrix), un afide parassita della vite, giunto in Europa dall’America alla fine del XIX secolo, ha modificato profondamente la viticoltura europea, portando all’utilizzo di viti bimembri, in cui l’apparato radicale (portinnesto) è fornito da specie di viti americane, resistenti alla fillossera, mentre la porzione epigea (varietà innestata) appartiene alla Vitis vinifera.

Nella zona di Calasetta, invece, la viticoltura non ha subito questo tipo di trasformazione, perché i terreni sabbiosi impediscono gli spostamenti di questo insetto, rendendolo inoffensivo, di conseguenza le viti possono ancora essere utilizzate “franche di piede” (con radici proprie).

Al termine della loro vita, le viti possono essere rimpiazzate, come in epoca prefillosserica, col metodo della propaggine dalla pianta madre. Essa consiste nell’inclinare (per lo più d’autunno, dopo la caduta delle foglie) in una buca scavata presso una vite un tralcio della vite stessa (senza staccarlo), sotterrandolo per un breve tratto e facendo sporgere dal terreno l’estremità con almeno una gemma. Dal tratto sotterraneo spunteranno le radici, mentre dalle gemme terminali (fuori terra) si svilupperanno i germogli. Dopo due o tre anni si reciderà il tralcio e la nuova vite avrà vita autonoma. In questi vecchi impianti, la forma d’allevamento è l’alberello, le distanze sulla fila sono di 90 cm, quelle tra le file di 150 cm.

Mario Fregoni nel corso del suo intervento sul tema “La vite franca di piede nel mondo” ha ricordato che la vite può essere coltivata franca di piede senza alcun problema dovuto alla fillossera in terreni con almeno il 60% di sabbia e con meno del 6% d’argilla. I vantaggi di questo tipo di coltivazione possono così riassumersi: maggiore lunghezza del ciclo vitale, assenza di virosi, sviluppo contenuto, maggiore resistenza alla siccità nei terreni sabbiosi, vini più ricchi di aromi varietali. In Italia, oltre che nei vigneti di Sant’Antioco, la vite è allevata franca di piede a Morgex (AO), a Bosco Eliceo (Fe), a Pantelleria e sulle pendici dell’Etna in Sicilia.

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