Presso il Ristorante “Il Pescatore” di Anzola Emilia si è svolto un incontro-degustazione dedicato ad un abbinamento tradizionale nelle nostre zone rurali, quello fra vino e salame.
Idea ancora più interessante se si pensa di utilizzare vini ottenuti da vitigni autoctoni, che spesso regalano profumi e sapori inimitabili.
Ecco alcuni esempi di questi vini:
- Centesimino: dopo aver confutato l’unicità del suo DNA, questo vitigno coltivato nelle colline di Faenza, e più precisamente attorno alla torre di Oriolo, origina un vino rosso corposo ma di facile beva, conosciuto anche come “Sauvignon rosso”. Il nome del vitigno deriva, come vedremo a breve anche per il Bürson, dall’appellativo fornito dalla gente del posto a chi ha salvaguardato la specie.
Molto gradevoli i profumi di frutta matura, che mi ricordano in modo particolare la mora del gelso, un vino che nella sua immediatezza può portare alla mente
- Bürson: questo vitigno a bacca rossa della provincia di Ravenna è stato salvato dall’oblio da Aldo Longanesi, il cui simpatico soprannome ha dato il nome comune a quest’uva, che però è ufficialmente catalogata come Uva Longanesi. Oggi il nipote Daniele continua a coltivarla nei pressi di Bagnacavallo, bella cittadina romagnola che ha fornito il nome al Consorzio di viticoltori che producono poi il vino in due versioni, a seconda del periodo di invecchiamento: capsula blu e capsula rossa.
Diciamo subito che il Bürson è un vino di grande estratto e alcolicità, che a mio parere si presta al blend con altri vitigni: per assaggiarne uno equilibrato vi consiglio di cercare quelli di almeno 4 anni. Devo ammettere però che il capsula blu annata 2005 di Daniele l’ho trovato già pronto; è Longanesi stesso, accortosi del mio stupore, a spiegarmi il motivo: “Sappiamo che quest’uva è fin troppo generosa. Per smussarne gli eccessi abbiamo verificato che la macerazione carbonica è l’ideale; per questo utilizziamo una parte di macerato per l’imbottigliamento del capsula blu”.
Ma è a fine pasto che il Bürson ci regala la vera sorpresa nella sua versione passito: il vino si chiama Anemo (antico nome del fiume Lamone che lambisce Bagnacavallo), un prodotto dai profumi molto intensi e con una dolcezza che equilibra perfettamente i ruvidi tannini.
- Pignoletto: il più noto dei vitigni autoctoni emiliani esprime sentori a volte molto diversi passando da una zona all’altra dei Colli Bolognesi: non a caso questa DOC si è dotata nel disciplinare di ben 7 sottozone, ed ha previsto per questo vitigno anche la menzione Classico. Tradizionalmente vinificato nella versione frizzante, il Pignoletto si esprime però meglio a mio avviso nella versione fermo, come quello dell’Azienda Botti presente all’iniziativa, che già conoscevo per il suo Barbera, che pur non essendo originario di questo territorio, è l’altro vitigno portabandiera della DOC.
- Pelaverga: fratello “minore” del Nebbiolo nel panorama enologico delle Langhe, questo vitigno piemontese ha trovato il suo optimum nelle colline saluzzesi, dove esprime caratteri diversi rispetto a quelli di Verduno, guadagnando secondo me nell’equilibrio complessivo.
Per questo è stata una bella sorpresa assaggiare i vini delle Aziende Maero e Vigna di Terre Rosse, socie del Consorzio, peccato non avessero previsto la vendita , altrimenti ne avrei fatto scorta visto che da queste parti non viene commercializzato…
Nuovo impulso nella promozione di questo vino è sicuramente arrivata dalla realizzazione alla fine del 2006 del “Centro rarità ampelografiche cuneesi Giuseppe di Rovasenda”, la cui segreteria si trova presso il Comune di Saluzzo. La presentazione del Centro è stata curata dal Dottor Michele Fino, Assessore all’agricoltura di Saluzzo e sostenitore del Centro, del quale ha promosso la forte missione documentale nei confronti di un patrimonio genetico notevole; missione lodevole se si pensa alla forte omologazione varietale che il mercato internazionale ha imposto nell’ultimo decennio.
Per quanto riguarda i salami mi sono invece concentrato sull’assaggio dei prodotti di Daniele Bertini di Lugo (RA): la sua Azienda ha una paniere di prodotti interessante, anche se quelli a maggior impronta territoriale sono il salame tradizionale romagnolo, di dimensioni medie e lardelli ben visibili, e quello di mora romagnola, una razza suina che da alcuni anni è stata salvata dall’estinzione.
Molto bella e coreografica l’apertura di una forma di Parmigiano Reggiano di 24 mesi da parte di Valerio Carretti del Caseificio Sant’Angelo di San Giovanni in Persiceto (BO), operazione che oltre ad una consolidata esperienza richiede anche una buona dose di forza fisica! Sarà forse stata anche la suggestione del taglio, ma il formaggio era davvero squisito…
Ad animare la giornata un dibattito fra personalità del mondo del giornalismo e della ricerca universitaria, che hanno fornito un’interessante testimonianza su come far evolvere le produzioni tipiche del territorio attraverso la comunicazione e naturalmente la promozione turistica: interessante in tal senso l’esperienza di Paolo Canto, Presidente dell’Associazione Montagna Amica, che si occupa della promozione dell’Appennino Bolognese nella Valle del Reno attraverso il progetto “
Un evento così non poteva che terminare con il pranzo fra tutti gli intervenuti, degustando piatti preparati dallo staff del ristorante con i prodotti del banco d’assaggio; un’ulteriore occasione per scambiare pareri conviviali e ideare nuove iniziative…
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